Il Mio Blog non vuole essere un monologo, ma un invito all'incontro: pertanto sono graditi i commenti e il succedersi degli scambi che ne conseguono.
Buona lettura!

giovedì 25 agosto 2016

Noturno estivo

 
Sfuma il mese di agosto tra le mie mani, la terra, la polvere di cemento e una miriade di stelle luminose che ogni notte si esibiscono brillando lassù, immerse in un oceano di aria scura svelata con la complicità di una grande luna color latte.

Sono in una casa di campagna, una vecchia costruzione che il proprietario rinnova e ingentilisce ogni giorno con la sua arte e la sua pazienza. Con una maestria che ammiro di ora in ora, mentre osservo e mi muovo nei panni dell'aiutante operaio. Canottiera, pantaloni corti, i capelli raccolti, le comode scarpe antinfortunio e il perenne paio di guanti gialli.  Non si lavora mai senza guanti! Per qualche ora di infrazione alla regola mi sono bucata con un ferro arrugginito. Chissà se mi verrà il tetano..
Qui la notte cantano i grilli, a migliaia.  E io tengo aperta la finestra per accoglierne il dono.  La zanzariera, che dal soffitto circonda il mio letto, lo rende miracolosamente possibile. In campagna, si sa, vola di tutto, e non tutto ci è amico!

Di giorno le cicale e il sole forte, dentro una luce accesissima, accompagnano i miei movimenti. E i tafani, terribili ospiti dell'aria, grossi e affamati,  in frenetica ricerca continua di sangue da succhiare - proprio come alcuni personaggi della vita di città.
Su una gamba ho un gonfiore da giorni: è  dolente e rammenta di continuo che devo fare attenzione.

Qui il tempo scorre in modo diverso. Lo misurano la fame, la sete, e la stanchezza del corpo. Per il resto è  aria,  è  terra è  il profumo dell'erba, e la fatica del corpo che si muove in allegria attraverso l'azione. 
Faccio cose che uso. Faccio cose che hanno una loro concreta utilizzabilita'.

La giornata  si consuma in un godimento continuo di vita attiva, più reale di quella che ogni giorno il risveglio mi impone in città.  Lì il tempo lo misuro in modo diverso: con l'orologio. Arriva l'ora di alzarsi, di andare al lavoro, delle  riunioni, le pause limitate, gli spostamenti necessari ... Ore che trascorro per lo più in ambienti chiusi, artificiali, a volte forzatamente sociali.

A Ischia, tempo fa, feci la conoscenza di un uomo sereno, con le guance arrossate per la lunga esposizione al sole. Disse che aveva fatto il cuoco in un grande albergo per molto tempo, fino a quando non ne ha potuto più.
Guadagnava bene, ma aveva voglia di sentire l'aria, il calore del sole sul viso, di vedere la luce del cielo. E così si è messo a lavorare la terra, ad abbellire e curare le piante rifinendo le aree di incontro comune. 
All'aperto, nella natura, in pace con se stesso e con il mondo intero.

In cucina ci ho lavorato anch'io: gli odori, i vapori, i rumori... Ti si attacca tutto addosso, ti entra nei pori e ti si aggrappa ai capelli.
Nel lavoro d' ufficio non è  poi così diverso.

Ho studiato con impegno per acquisire competenze che ritenevo e considero davvero importanti, ma delle quali oggi sembra importare davvero a pochi. Ad ogni confronto scorgo con dispiacere che sono altri i valori, ed altri gli obbiettivi perseguiti. Altro rispetto alle premesse e rispetto alle attese.

Vivo in un tempo che poco comprendo, la cui opacità alimenta un disagio spaesante che, però, svanisce in certi ambienti naturali e puliti. Puliti dalla folla indistinta, sempre impegnata a ridurre in orrendo indifferenziato banchetto ogni fiore di cui non sa gustare il profumo. Puliti  dal rumore continuo da cui siamo aggrediti, e di cui perdiamo sovente memoria.


La vita in città si svolge spesso in modo inerziale, nell'impegno a ripetere routine ipnagogiche di cui non sappiamo privarci.

Così,  di tanto in tanto, ci soffermiamo a vedere che ora s'è fatta.

Qui non mi capita mai. Apro gli occhi al mattino e ogni momento mi indirizza a sorpresa verso quello che viene, ignorato fino al suo compimento che si attua nel fare le cose, e me stessa con loro.

Eccolo il coro dei grilli, arriva insieme col vento. Alcuni suoni sembra provengano da spazi remoti, e si uniscono ad altri che invece paiono nascere qui, proprio in quest'apertura che mi offre il bisbiglio sommesso delle fronde nutrite.
Serena è  la notte, e ricca di amichevoli toni. Mi parla di vita, allietando questo mio sfarzoso notturno estivo...








domenica 14 agosto 2016

Di madre in figlia



Donne che indossano abiti succinti, donne coperte da un velo scuro, donne dai capelli rasati... Donne che provocano e che subiscono, che si adeguano o lottano, donne che hanno smesso di farlo. 
Donne mutilate che impongono la stessa sorte alla loro figlie, in nome di una religione che non è nata con quello scopo violento.

Sono una donna anch'io. Che provoca, che lotta, che subisce.
E che a volte si sente impotente.

Sono stata cresciuta da una donna, che ripeteva sempre lo stesso mantra: prima gli altri, poi te. Tu devi restare nel buio, servire gli altri e renderli felici.
Infatti, in piena coerenza, lei non era felice. Questa storia non mi ha mai convinta, così ho  preso un'altra strada, quella orientata allo sforzo congiunto verso la realizzazione del bene comune. E della felicità condivisa.

Anche in nome di una sola idea la persone si uccidono, si torturano, si odiano.
E per sfuggire al dolore lo diffondono intorno, perché appaia meno evidente la differenza con ciò che dolore non è. 

Ogni anno muoiono bambine e donne che hanno subito mutilazioni genitali.  Ogni anno le stesse donne che le hanno ricevute le infliggono alle loro figlie, perpetrando un misfatto che la stessa Unione Africana ha condannato.
La mentalità - lo sento ripetere ovunque - lo sappiamo bene, è difficile da cambiare!

  Io non capisco. 

Se un bambino si brucia toccando un oggetto bollente non inviterà certo altri suoi simili a ripetere l'azione. Semmai cercherà di evitarne la ripetizione. A meno che non abbia voglia di ferire qualcuno. Qualcuno che lo ha messo nella condizione di farsi del male.

Vien da pensare che queste donne vivono una condizione tanto misera da non tollerare nemmeno il proprio ruolo di madre. Vivono forse una tale restrizione di esistenza da considerare lo splendido dono della maternità come un aggravio ulteriore e, forse, senza nemmeno rendersene ben conto, puniscono chi, senza alcuna colpa diretta, conferma il terribile ruolo di donna-contenitore, infliggendo anche a chi esce dal loro ventre un marchio di fabbrica: tu come me. E tua figlia dopo di te.

Le convinzioni son dure da cambiare, soprattutto se nate nel dolore e nella frustrazione.

Alzatevi, donne, e gridate la vostra rabbia, nutritela con la vostra sofferenza, e fuggite l'ignominia.

Che la violenza non alimenti, giustificandola, altra violenza, ma serva per comprendere che è tempo di cambiare strada.