Il Mio Blog non vuole essere un monologo, ma un invito all'incontro: pertanto sono graditi i commenti e il succedersi degli scambi che ne conseguono.
Buona lettura!

giovedì 25 gennaio 2018

Interludio

Un treno che va, l'asfalto, la sabbia umida che si aggrappa alle scarpe in una ventosa giornata d'inverno.
 Le onde che spazzano ampie la superficie del mare, sotto la benedizione di un cielo libero e azzurro mentre il sole mi scotta la pelle, e I'aria fredda spinge di continuo i capelli sugli occhi.

Cammino e respiro fissando l'acqua, che coi suoi movimenti costanti mi assorbe, calmando le tante emozioni che si annidano insieme, e inducendomi un insopprimibile stato ipnotico.

 Calore, tranquillità e  silenzio.

Poche persone nei paraggi e tante storie tra le parole di chi mi accompagna: la grettezza degli uomini, la loro bontà, e la capacità di sorprendere. Intelligenza, furbizia e sciatteria: siamo fatti di questo, mi chiedo!?

La brezza soffia sfrontata e viene dal mare, spingendomi in questa realtà parallela, dove lo spazio si estende nella zona di calma e diviene silenzio, diventa azzurro e luce del sole.

Acqua e vegetazione, e poi la terra, e  con essa la roccia. 

Residui di memoria cercano un varco tra gli occhi,  ma non sanno riflettersi su queste immagini nuove, che oramai colgo diverse.
 Quelle strade e quei luoghi per me sono estranei: oggi io non so ricordarli, intanto che sto a scansionarli con umore misto, che sa di timore e sorpresa.

La luce del giorno che scema, com'é normale che avvenga, e poi ancora un convoglio, e ancora un altro viaggio che mi conduce nei luoghi di sempre, dove l'aria è meno leggera ed il soffitto meno brillante.

Qui, peró, ritrovo il sorriso amico, e quello sguardo attento che, solo, sa conoscere le stramberie sparpagliate nel mio personalissimo mondo.

Il viaggio, tra l'andare e il tornare, nel passato e nell'oggi, tra i passi curiosi di me, che procedo a mio tempo tra gli altri.




mercoledì 10 gennaio 2018

PEZZI DI VETRO


Sto uscendo da un supermercato, ma per farlo devo passare per un piccolo corridoio molto stretto, un poco in discesa. E il percorso é ostruito da alcuni carrelli vuoti, impilati tra loro, e bloccati sul davanti da una grossa scatola di cartone, di quelle che contengono in quantità  prodotti da esporre alla vendita.

Io sono determinata ad uscire, cosí decido di usare i carrelli come ponte, convinta della stabilitá dell'incastro. Ma la scatola non è abbastanza pesante, e il mio supporto di fortuna scivola via, fino a colpire alcune bottiglie che si trovano in terra, poco piú avanti. 
Sono bottiglie vuote, e mi accorgo di averne rotte un paio: una grossa e l'altra piccola. Entrambe vuote, entrambe sottili, entrambe color dell'aria...

Cosi iniziava il sogno che ho vissuto la scorsa notte, che denunciava la vera natura di ció che ostacola la mia uscita da una situazione che trovo stretta, come quel piccolo supermercato.
Non racconterò qui il resto della storia: é roba privata, e non vi riguarda. 

L'esordio é legato ad una riflessione recente, su quanto appaiono a volte pesanti alcune scatole vuote, cosi vuote da non essere in grado di fermate un carrello in discesa, un carrello vuoto a sua volta, mosso soltanto dal peso di un corpo umano fatto di carne, ossa e di spinta vitale. Un corpo reale.

Bottiglie vuote, leggere e di scarso spessore. Sbattute come birilli in una corsia di gioco, infrante dalla voglia di uscire. 
Solo materia fredda, in sosta per terra, senza utilità alcuna. Non resta che romperle, e spezzarle come si fa con incantesimi orrendi, per riconquistare la propria umanità sequestrata. 

Un tempo mi piaceva ascoltare le parole di un brano di un noto cantautore italiano, che raccontava di un uomo invincibile, che spezzava bottiglie e camminava sui pezzi di vetro senza tagliarsi. Un uomo che non conosceva paura, rideva e sorrideva, un uomo per il quale morire non era possibile...

Ma a questa immagine del vetro ostile, rigido e pericoloso, si affianca quella dei fiori di vetro, che tante volte ho visto sbocciare ed esporsi al mondo dai vasi della casa in cui abitavo durante l'infanzia.

Sono chiamati cosí, mi dicevano, a causa della loro fragilità strutturale: sono composti da pochi petali, hanno colori intensi, ma sono cosi delicati da apparire stropicciati non appena subiscono gli urti del vento, o del freddo.

Apparentemente forti dunque, ma frangibili, sensibili alle intemperie e ai cambiamenti di stato.

Proprio come il vetro.

Eppure ad una lezione di chimica, al liceo, una docente mi disse che il vetro é vivo e respira, ad onta della sua veste rigida e ferma.  E questo ce lo insegnano bene i maestri vetrai di antica e odierna generazione.
Quante meraviglie e quante brutture sanno plasmare, e quanta abilità in quelle mani!

Ma il sogno poneva in terra qualcosa di morto, di freddo e di vuoto, la cui utilità era solo ostruzione. Ed un cambiamento di stato é proprio ció che ha potuto spezzarlo.

"... E nelle pieghe della mano una linea che gira, e lui risponde serio "é mia". Sottintende la vita. E la fine del discorso la conosci giá, era acqua corrente un pó di tempo fa, ma ora si é fermata qua..."